Pagina:Il mio Carso.djvu/75

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foglie d’oro e di porpora turbinavano intorno a me? Nella mia anima, certo, fu un subbuglio, un accorrere, un saltellìo guizzante, come in una vasca di parco quando un bimbo butta una mica di pane. Ma il rosso belletto delle labbra e la polvere d’oro dei capelli di lei mi parodiò; e io ne fui spaventato come guardandomi in uno specchio convesso. Scrissi molto male della commedia che m’era piaciuta, per vendetta, perchè anch’io avevo bisogno di violare la realtà altrui. Ma il direttore si fece portare le cartelle prima che andassero in tipografia, mi chiamò, mi rimproverò aspramente e stracciò l’articolo.

Uscendo di redazione, la prima alba mi faceva male sugli occhi stanchi.

Una notte, dopo qualche anno, una notte di lavoro terribile perchè era morto il papà, io fissavo la lampada a gas sul mio tavolo. Sentivo andare, borbottare, scartabellare, rombare intorno a me, sempre più lontano, lontanissimo, e pensavo, chissà perchè, a Caino e Abele. Dicevo a Dio ch’egli era molto ingiusto con Caino: perchè non accetti il suo fumo? i rami carichi di frutti e le biade non valgono l’agnello di Abele? Che male ti ha fatto egli, prima di uccidere Abele? perchè? La bibbia non dice niente. Pensai che questo poteva essere il pensiero centrale d’una tragedia, e mi misi a ridere malignamente. Io avevo già ucciso Abele.

Abele aveva teso le corde fra i corni del bufalo fucilato da me, e cantava. Io l’uccisi. Ma ora le foglie che mi toccavano erano dure e aspre di veleno come pennini. Desiderai ardentemente, ― Abele Abele, se tu fossi anco-