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zione delle reclute arrivate al Deposito del 52º Fanteria.

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L’indomani, Franco fu comandato di corvèe per il rancio.

Con le quattro gavette che gli scampanavano nelle mani, si mise in riga, e partì coi compagni alla volta delle cucine.

Dalle caldaie enormi usciva un fumo accecante. Il grasso del brodo galleggiava lucente alla superficie. Un cuciniere prendeva con le dita i pezzetti di carne, li distribuiva nelle gavette, un altro vi gettava sopra un mescolo e mezzo di brodo. Il liquido colava fuori delle gavette, ungeva, schizzava, stagnava a terra, fra le pietre.

Franco consegnò le due coppie di gavette, un po’ intontito da quelle enormi caldaie fuligginose, da quel brodo grasso, da quelle mani di cucinieri. Quando gliele rimisero in mano, non si muoveva.

— Ehi, cappellone! — gli urlò il caporale di cucina. — Che aspetti: la giunta?

S’avviò coi compagni, che lo consigliarono di chiudere le gavette, perchè non si raffreddasse il rancio. In questa operazione un po’ di brodo gli si versò sui pantaloni.

Mangiò, nel cortile, il suo pezzetto di car-