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L'ebbrezza di vivere le scorreva nelle vene come uno spruzzo biondissimo di champagne.
Poi, ogni tanto, aveva momenti di sosta, d'intontimento: non trovava più il desiderio, restava inerte, appassita, greve di tutte le ombre, di tutti i passati più grigi.
Poi si riprendeva ancora: e riprendeva la corsa spensierata della sua giovinezza.
Aveva scoperto la genialità della carne e la sensibilità delle vesti. Si faceva ogni giorno più primaverile, più carina, più solida, più elegante. La sua pelle aveva assunto i toni vellutati dei tramonti partenopei: si andava fondendo con i colori del Golfo, rapiva dei tocchi alle marine riderelle, agli orli dei colli appassionati, alle sfilacciature delle nuvole pazze di primavera.
I suoi grandi occhi pensosi si erano arricchiti di luci calde, che li rendevano meno terribili e profondi, ma ne dilatavano l'alone, come astri che si vadano volatizzando irradiandosi all'intorno in un pulviscolo opaco.
Una sera, dopo una lunga cavalcata sulla marina di Chiaia, ella diede per la prima volta a Franco l'annunzio della sua trasformazione. Gli scrisse così:
«Mi sembra di rifiorire nella bellezza che mi circonda, e ho l'animo pieno di una grande melanconia sorridente. Mi dimentico, mi