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VIII.



― Gittatemi una treccia, ch’io salga! ― gridò Andrea, ridendo, giù dal primo ripiano della scala, a Donna Maria che stava su la loggia contigua alle sue stanze, tra due colonne.

Era di mattina. Ella stava al sole per farsi asciugare i capelli umidi che l’ammantavano tutta quanta, come un velluto d’un bel violetto profondo, tra il quale appariva il pallore opaco della faccia. La tenda di tela, a metà sollevata, d’un vivo colore arancione, le metteva in sul capo il bel fregio nero del lembo nello stile de’ fregi che girano intorno gli antichi vasi greci della Campania; e, s’ella avesse avuto intorno le tempie corona di narcisi e da presso una di quelle grandi lire a nove corde che portano dipinta a encausto l’effigie d’Apollo e d’un levriere, certo sarebbe parsa un’alunna della scuola di Mitilene, una lirista lesbiaca in atto di riposo, ma quale avrebbe potuto imaginarla un prerafaelita.