Pagina:Il tesoro.djvu/338

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la febbre lenta e sottile, ripensava in sogno alla visione dolce e cinerea di quell’orizzonte autunnale, di quel confine della terra e dei mari e dei cieli, verso cui un fascino sovrumano attirava gli spiriti, dove ora riposava, fusa nell’essenza stessa dell’infinita visione, l’anima del vecchio gentiluomo ebreo.

Morire a venti, a novantanni, che importava, poichè si doveva morire?

Ricordò d’aver scritto una volta a Paolo, in un giorno della magica primavera lontana, nell’aurora del loro amore:

«Vorrei chinare il viso sulle tue lettere, ascoltando la melodia arcana delle tue parole profonde, e addormentarmi e sognare e morire così, sotto la benedizione tua e del ciclo azzurro, tra i profumi delle rose aperte.»

Il sogno, il desiderio misterioso si compieva: perchè dunque il cuore si lamentava? Ed Elena pregò fra sè: — Sia benedetto il Signore in ogni opera sua!

Una pace sovrana saliva con l’ombra cinerea della sera di marzo; i rumori svanivano, i vetri grigi tacevano, addormentandosi a misura che l’orizzonte impallidiva. Elena ritirò il braccio e appoggiò il viso alla lettera di Paolo, chiudendo gli occhi e sembrandole di cadere nel profondo sopore del cielo e delle cose.

Ma la sua mente continuò a lavorare; il contatto della lettera che la sua guancia riscaldava,