Pagina:Il tesoro.djvu/345

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rente l’aveva trattenuta: ella poi non s’era più sentita il coraggio d’andarsene.

Paolo pensò alla lettera scritta sul piroscafo, alla notte passata in mare. E taceva, senza dire una parola di condoglianza, senza pensare di muoversi.

L’ombra s’addensava nel salotto; e un certo punto la giovine signora tacque anch’essa; Paolo comprese ch’ella desiderava ch’egli se ne andasse. Si alzò: ma implorando disse:

— Perdoni, signora. Vorrei rivederla....

Peppina si stupì, comprese confusamente qualche cosa, e s’alzò a sua volta.

— Favorisca — disse, andando avanti senza smettere mai il suo maestoso ed elegante incedere. Aprì la porta e Paolo passò inchinandosi. Camminarono silenziosi, egli a testa nuda e pallidissimo, con raccoglimento profondo, quasi attraversassero una chiesa.

Nella camera d’Elena ardevano lunghi ceri in candelabri di metallo, e la luce del sereno crepuscolo, entrando per le imposte socchiuse, tremava in lunghe strisce sulla porta, fondendosi col bagliore rossastro e quieto dei ceri.

Giovanna, inginocchiata presso il letto, piangeva silenziosamente, bevendosi le lagrime con singulti radi.

Peppina le toccò una spalla.

— Giovanna — disse amorevolmente, con dolce