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tutti i dardi della dialettica femminile, io solo — se altri non comincia — batterò le mani a me stesso.


Soltanto, mi si consenta di soggiungere che la lettera, tanto discussa, non meritava — in sè e nella sua modestia — tutta questa discussione. E, innanzi tutto, tutti gli argomenti che si desumono dal diritto della donna, di qualunque classe, fede, razza o colore, a conquistare, accanto all’uomo, la cittadinanza politica — dall’utilità che tale conquista recherà, col tempo, al progresso civile e democratico — tutti questi argomenti sono spesi a vuoto. La mia lettera non soltanto non contestava tutto ciò, ma lo affermava senza la menoma ambage.

La questione era altra, e assai più modesta. Sarebbe utile — si chiedeva — propugnare, colla stessa tonalità, le due cause, esigerne la risoluzione simultanea, fare di questa simultaneità una specie di pregiudiziale? E rispondevo — modestamente — di no.

Mi impegnerei di dimostrare che, su questo punto, che è il vero, siamo tutti — e tutte — d’accordo. Ma, allora, che rimarrebbe più della nostra polemica?

Senonchè Anna Kuliscioff mi ghermisce nei “contorni„, mi inchioda sugli incisi, mi mortifica sulle parole. Sopratutto le duole ch’io abbia scritto che, della immediata immissione delle donne, di tutte le donne italiane, nell’esercito elettorale, l’urgenza non può essere sentita dai socialisti. E mi coglie in contraddizione. Perchè, allora, le inchiudereste nel disegno di legge? e perchè le invocate collaboratrici nella propaganda?

Un amico nostro, che lavorò un tempo per il socialismo, seriamente e senza clamore, e che oggi un lungo malanno affligge e sequestra (vadano a lui, di passaggio, gli augurî delle antiche amicizie!), diceva un giorno, alludendo alla nostra contradditrice, questo motto arguto: che il partito socialista italiano non possedeva in realtà che un solo vero uomo politico; soltanto, il solo uomo politico del socialismo italiano, era.... una donna — ed una russa per giunta!