Pagina:Iliade (Monti).djvu/580

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v.319 libro ventesimosecondo 247

Ilíache mura mi aggirai tre volte,
Nè aspettarti sostenni. Ora son io320
Che intrepido t’affronto, e darò morte,
O l’avrò. Ma gli Dei, fidi custodi
De’ giuramenti, testimon ne siéno,
Che se Giove l’onor di tua caduta
Mi concede, non io sarò spietato325
Col cadavere tuo, ma renderollo,
Toltene solo le bell’armi, intatto
A’ tuoi. Tu giura in mio favor lo stesso.
   Non parlarmi d’accordi, abbominato
Nemico, ripigliò torvo il Pelíde:330
Nessun patto fra l’uomo ed il lïone,
Nessuna pace tra l’eterna guerra
Dell’agnello e del lupo, e tra noi due
Nè giuramento nè amistà nessuna,
Finchè l’uno di noi steso col sangue335
L’invitto Marte non satolli. Or bada,
Chè n’hai mestiero, a richiamar la tutta
Tua prodezza, e a lanciar dritta la punta.
Ogni scampo è preciso, e già Minerva
Per l’asta mia ti doma. Ecco il momento340
Che dei morti da te miei cari amici
Tutte ad un tempo sconterai le pene.
   Disse, e forte avventò la bilanciata
Lunga lancia. Antivide Ettorre il tiro,
E piegato il ginocchio e la persona,345
Lo schivò. Sorvolando il ferreo telo
Si confisse nel suol, ma ne lo svelse
Invisibile ad Ettore Minerva,
E tornollo al Pelíde. - Errasti il colpo,
Gridò l’eroe troian, nè Giove ancora,350
Come dianzi cianciasti, il mio destino
Ti fe’ palese. Dëiforme sei,