Pagina:Iliade (Monti).djvu/595

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262 iliade v.87

   Tu dormi, Achille, nè di me più pensi.
Vivo m’amasti, e morto m’abbandoni.
Deh tosto mi sotterra, onde mi sia
Dato nell’Orco penetrar. Respinto90
Io ne son dalle vane ombre defunte,
Nè meschiarmi con lor di là dal fiume
Mi si concede. Vagabondo io quindi
M’aggiro intorno alla magion di Pluto.
Or deh porgi la man, chè teco io pianga95
Anco una volta: perocchè consunto
Dalle fiamme del rogo a te dall’Orco
Non tornerò più mai. Più non potremo
Vivi entrambi, e lontan dagli altri amici
Seduti in dolci parlamenti aprire100
I segreti del cor: chè preda io sono
Della Parca crudele a me nascente
Un dì sortita. E a te pur anco, Achille,
A te che un Dio somigli, è destinato
Il perir sotto le dardanie mura.105
Ben ti prego, o mio caro, e raccomando
Che tu non voglia, se mi sei cortese,
Dal tuo disgiunto il cener mio. Noi fummo
Nella tua reggia allor nudriti insieme
Che Menézio d’Opunte a Ftia menommi110
Giovinetto quel dì che per la lite
Degli astragali irato e fuor di senno
D’Anfidamante a morte misi il figlio,
Mio malgrado. M’accolse il re Peléo
Ne’ suoi palagi umanamente, e posta115
Nell’educarmi diligente cura,
Mi nomò tuo donzello. Una sol’urna
Chiuda adunque le nostre ossa, quell’urna
Che d’ôr ti diè la tua madre divina.
   A che ne vieni, o anima diletta?120