Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/280

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1io-139 CANTO X 225

110e Aiace pie’ veloce, e il prode figliuol di Filèo.
E vedi poi, se alcuno potesse anche andare a chiamare
Aiace pari ai Numi, col sire di genti Idomène,
perché le navi loro son lungi, all’estremo del campo.
Però, con Menelao mi cruccio, sebbene onorato,
115sebbene caro — ed anche se tu te ne spiaci, non taccio —
che dorme, e t’ha mandato da solo a codesto travaglio:
ad uno ad uno avrebbe dovuto pregare i piú prodi,
con ogni zelo: non è da poco, il periglio che incombe».
     E a lui cosí l’Atríde, signore di genti, rispose:
120«Vecchio, altre volte, io stesso ti dissi di rimproverarlo,
ché trascurato egli è sovente, e non vuole fatiche:
non perché ceda a pigrizia, non già per pochezza di mente,
ma guarda sempre me, da me sempre attende la spinta;
ma questa volta prima di me s’è svegliato a chiamarmi;
125ed inviato io l’ho, ché cerchi coloro che dici.
Andiamo, dunque: tra le scòlte, dinanzi alle porte
li troveremo: ché qui dissi loro d’attenderci accolti».
     E a lui Nèstore allora, gerenio guerriero, rispose:
«Cosí niuno con lui degli Achivi potrà corrucciarsi,
130né calcitrare mai, quando egli lo esorti e lo spinga».
     Cosí dicendo, cinse la tunica intorno al suo petto,
sotto i suoi piedi strinse coi lacci i suoi sandali belli,
su con le fibbie il manto vi strinse purpureo doppio,
che sino ai pie’ scendeva, fiorito di lunga pelurie,
135poi la zagaglia prese, che aveva di bronzo la punta,
e lungo i legni andò degli Achei loricati di bronzo.
E primo quivi Ulisse, che in senno era simile a Giove,
destò, levando un grido, dal sonno, il gerenio guerriero
Nèstore. Il grido a quello repente giungeva nell’alma;

Omero - Iliade, I - 15