Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/195

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192 ILIADE 200-229

200con le parole, come se fossi un bambino: so bene
anch’io dire parole d’oltraggio, che mordano il cuore.
Sappiam l’uno dell’altro la stirpe, sappiamo i parenti:
da ciò che va narrando la gente l’abbiamo saputo;
poiché con gli occhi nostri, né tu l’hai veduto, né io.
205Dicon che tu di Pelèo, l’eroe senza macchia, sei figlio,
ed è tua madre Tèti marina dai riccioli belli;
ed io figliuolo sono d’Anchise magnanimo cuore:
tale mi vanto; ed è mia madre la bella Afrodite.
O questi, o quelli, pianto dovranno levare pel figlio,
210oggi; perché non credo che noi separarci dobbiamo
con queste vane ciance, lasciare incompiuta la pugna.
Ma pur, se questo vuoi sapere, conoscere bene
qual’è la stirpe mia, molti uomini possono dirla.
Dàrdano primo fu, generato da Giove Croníde,
215e Dardanìa fondò, ché ancora nel piano costrutta
Ilio la sacra non era, città di facondi mortali,
ma su le balze irrigue dell’Ida abitavano ancora.
Dàrdano un figlio poi generava, Erittonio sovrano,
ch’ebbe dovizie quante niun altri ebbe mai fra i mortali:
220pasceano a lui tremila cavalle su l’umido piano,
femmine tutte, tutte superbe di molti puledri.
Borea ne invaghí, mentre esse pasceano; e con loro
s’uní, che forma assunse d’azzurricrinito corsiere,
e sei puledre e sei concepirono e diedero a vita.
225Quando scherzavano queste sui campi feraci di spelta,
sopra le cime e le spighe correvano, senza spezzarle:
quando scherzavano poi sul dorso infinito del mare,
a corsa ivano sopra la candida cresta dei flutti.
Diede Erittonio a Troe la vita, dei Teucri al signore: