Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/220

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350-378 CANTO XXI 217

350Arsero a un tratto gli olmi, i salici, le tamerici,
arsero il loto, il cípero, il giunco, che lungo le belle
acque correnti del fiume crescevano in fitto rigoglio:
e boccheggiarono tutte le anguille ed i pesci, che spersi
guizzavano tra i gorghi, qua e là, per le belle fluenti,
355dall’alito cruciati, dall’opera fiera d’Efèsto.
Arsa la forza del fiume struggevasi; ond’esso proruppe:
«Niuno dei Numi, Efèsto, potrebbe con te misurarsi:
né quando avvampi cosí di fuoco, potrei contrastarti.
Tronca l’offesa; e Achille via scacci i Troiani, se vuole,
360dalla città: che cosa m’importa di risse e soccorsi?».
     Disse: ché ardea pel fuoco, bolliano le belle fluenti.
Come un lebète ribolle, se l’urge gran vampa di fuoco,
liquefacendo il grasso d’un porco adiposo, e trabocca
tutto d’attorno, e sotto s’ammucchiano l’aride legna:
365bruciavano cosí pel fuoco le belle correnti,
l’acqua bolliva, né piú voleva fluir, s’arrestava:
la consumava il fiato, la furia d’Efesto sagace.
E queste allora ad Era parole di prece rivolse:
«Era, perché su la mia corrente tuo figlio infierisce
370piú che su ogni altra? Eppure, non sono colpevole io tanto,
quanto son gli altri tutti che mosser dei Teucri al soccorso!
Io, quanto a me, poi che tu lo brami, son pronto a ristarmi;
ma dall’offesa anch’egli desista; ed inoltre io ti giuro
che piú non terrò lungi dai Teucri il giorno fatale,
375né pur se tutta Troia si strugga, nel fuoco vorace
arsa, e alle fiamme la diano i prodi guerrieri d’Acaia».
     Ed ecco, Era l’udí, la Dea dalle candide braccia,
e al figlio suo diletto si volse con queste parole: