Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/236

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109-138 CANTO XXII 233

ch’io, fronte a fronte lottando, o Achille uccidessi, e tornassi,
110o glorïosa morte da lui, per la patria, m’avessi.
E se, deposto giú lo scudo di guerra, deposto
giú da la fronte l’elmo, al muro poggiata la lancia,
solo, senz’arme, ad Achille fortissimo incontro movessi,
e promettessi ch’Elena e insieme con lei le ricchezze
115tutte, quante Alessandro sovresse le navi ricurve
portò da Sparta a Troia, dond’ebbe principio la guerra,
tutto ridato agli Atrídi sarà: ch’altri beni agli Achivi
distribuiti saranno, di quelli che Troia rinchiude?
Ed ai signori di Troia prestare farò giuramento
120che, senza nulla celare, dividano tutto in due parti.
Ma via, che cosa in seno mi va favellando il mio cuore?
Se me gli faccio contro, ben temo che, senza riguardo,
senza nessuna pietà, mi debba ammazzar cosí nudo,
come s’uccide una donna, quand’io sia spogliato dell’armi.
125Non è momento questo che intrecci colloqui con lui,
come fanciulla e garzone favellan da rupe o da quercia,
come fanciulla e garzone che intreccian colloqui d’amore.
Meglio è che quanto si può piú presto, si venga a la lotta.
Vediamo a chi di noi l’Olimpio concede la gloria».
     130Questi pensieri, attendendo, volgeva: e vicino gli giunse
Achille, pari a Marte guerriero che crolli il cimiero.
E con il braccio destro proteso, vibrava l’orrendo
frassino pelio; e tutto cingendolo, il bronzo fulgeva
simile al raggio del fuoco che arde, del sole che spunta.
135Ettore, come lo vide, tremore lo colse: né resse
quivi aspettarlo: lasciò la porta, fuggí sbigottito.
E gli fu sopra il Pelíde securo dai piedi veloci.
Come sparviero sui monti, spiccando agilissimo il volo,