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229-258 CANTO XXII 237

con i veloci passi, di Priamo d’intorno alle mura.
230Ora, su via, stiamo qui, rintuzziam di pie’ fermo l’assalto».
     Ettore grande, dall’elmo corrusco, cosí le rispose:
«Già per l’innanzi, m’eri, Dëífobo, caro fra tutti
i miei fratelli, figli di Priamo e d’Ècuba. Adesso
tanto di piú mi penso ch’io debba onorarti ed amarti,
235che t’è bastato il cuore, vedendomi, uscire al soccorso
fuor delle mura; e gli altri rimangono dentro la rocca».
     E gli rispose Atèna, la Diva ch’à glauche le ciglia:
«Ettore caro, assai nostro padre e la madre diletta
me scongiuravan con fervide preci, e con essi gli amici,
240che rimanessi lí, tanto era il tremore di tutti;
ma luttuoso cordoglio nel seno crucciava il mio cuore.
Ora moviamogli contro diritti, non diamo riposo
ai giavellotti, nessuno: si vegga alla prova, se Achille
noi debba uccidere, e intrise di sangue recare le spoglie
245sui cavi legni, o dalla tua lancia restare trafitto».
     Disse; e, per trarlo in inganno, dinanzi gli mosse a guidarlo.
E quando, un contro l’altro movendo, già eran vicini,
Ettore, il forte dall’elmo corrusco, per primo gli disse:
«Non fuggirò piú, come dinanzi fuggivo, o Pelíde,
250che per tre volte girai di Priamo d’intorno alla rocca,
né d’aspettare l’assalto sostenni. Il mio cuore or mi sprona
a starti a faccia a faccia: ché io cada morto, o t’uccida.
Ma qui su via, gli Dei, s’invochino: ed essi saranno
mallevadori fedeli per noi, testi vigili ai fatti.
255Io sconciamente non vo’ deturparti, se Giove concede
ch’io la vittoria consegua, che possa levarti la vita;
ma poi che t’abbia, Achille, spogliato de l’armi tue belle,
agli Achei renderò la tua salma: lo stesso a te chiedo».