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260 ILIADE 320-348

320sbadatamente, di qua, di là, gira largo: i cavalli
sbandano al corso, fallito va l’esito. Invece, se pure
guida cavalli da meno, chi pensa al suo giòco, la mèta
sempre, tien d’occhio, e stretto fa il giro, né mai si smarrisce,
da quando prima al corso distese le briglie di cuoio,
325chi lo precede sempre guardando, ed avanza sicuro.
E un segno dire poi ti voglio, e non devi scordarlo.
Un tronco secco c’è, che sporge da terra due braccia,
di quercia, oppur di pino, che mai non marcisce alla pioggia,
e da una parte e dall’altra poggiate due candide pietre,
330dove s’incontran le vie: d’intorno è la via piana al corso:
la tomba essere deve d’un uomo da molto defunto,
oppure qualche mèta di gare già fu per gli antichi:
a mèta ora del corso l’ha posta il veloce Pelíde.
Appressa a quella, quanto piú possa, i cavalli ed il carro,
335e piègati tu stesso sovressa la solida conca,
a manca dei cavalli. Un grido poi leva, e il cavallo
pungi di destra, e a lui sul collo la briglia abbandona:
passi il cavallo di manca rasente rasente alla mèta,
cosí che il mozzo sembri che v’abbia a cozzar della ruota
340solida al sommo; ma vedi che urtare non debba la pietra,
ché offesi i corridori non vadano, e il carro spezzato:
ché gioia assai per gli altri, per te grave scorno sarebbe.
Dunque, diletto mio, fa’ senno, e sii bene guardingo:
perché se tu potrai passare, correndo, la mèta,
345niuno sarà che, di dietro scagliandosi a te, ti raggiunga,
neppur s’egli a te dietro guidasse il divino Arïone,
d’Adrasto il pie’ veloce corsier, ch’era nato d’un Nume,
oppur quelli di Laomedonte, i migliori di Troia».