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266 ILIADE 499-528

     Cosí disse. E il Tidíde, già molto, avanzando, era presso,
500sempre vibrando la sferza sul dorso ai cavalli; e i cavalli,
balzando alti dal suolo, la via divoravano in furia.
Ed investíano spruzzi di polvere sempre l’auriga,
e dietro ai pie’ veloci cavalli, giungeva, fulgente
d’oro e di stagno, il carro; né fonda restava l’impronta
505delle volanti ruote sovressa la sabbia sottile,
di dietro al carro: tanto correvano a volo i cavalli.
Stette a la folla in mezzo: sgorgava in gran copia il sudore
dal collo a terra giú, dal petto ai veloci corsieri.
E Dïomede a terra balzò giú dal fulgido carro,
510e presso il giogo poggiò la sferza. Né Stènelo prode
rimase inerte: senza tardare, balzò, prese il premio;
ed ai compagni la donna, ché via la guidassero, diede,
diede il tripode ansato: poi sciolse dal giogo i cavalli.
     Antíloco Nelíde secondo poi giunse col carro,
515che fu di Menelao piú veloce non già, ma piú furbo:
eppure, anche cosí, Menelao gli era molto dappresso.
Tanto quanto è dalla ruota lontano un cavallo che al corso
per la pianura si stende, traendo il signore ed il carro,
che della ruota il cerchio la coda con gli ultimi crini
520sfiora: egli corre, corre pur sempre, né cresce lo spazio
di mezzo, mai, per quanta pianura correndo percorra:
tanto l’Atríde addietro restava ad Antíloco. Prima
v’era rimasto perfino quanta è la gittata d’un disco;
ma poi, l’avea ben presto raggiunto: ché della giumenta
525bella del figlio d’Otrèo, d’Aíta cresceva l’ardore:
ché se durava ancora di poco la gara del corso,
lo superava certo, né dubbia lasciava la gloria.
Ma Merióne, d’Idomenèo lo scudiere valente,