Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/145

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Melvi, si voltò di scatto. Un altro non si sarebbe voltato. Ma ecco Anna rientrare anch’essa, di corsa, trafelata e ridente perchè inseguita da Guido. Entrò nel salotto attiguo; ove si abbandonò su di una seggiola.

— Lasciala stare! — dissi a Guido. — Ho da parlarle.

Andai risoluto, chiudendo l’uscio dietro di me. — Voglio sapere chiaramente perchè io e lei dovremmo essere amici!

Ella attese un poco, eppoi agitò incontro a me le mani strette a palma a palma, come per preghiera ed esclamò:

— Ma insomma! sono io che non capisco niente, o è lei? Ha piacere lei che Roveni sia innamorato di Ortensia? No, a quel che pare! Ebbene (e allargava le braccia alla spiegazione che mi concedeva): lei dovrebbe essermi grato se io cerco distrarre Roveni e di liberargliela, la sua Ortensia!

Insolenza, disprezzo, livore, erano in essa.

Il cavaliere mi aveva adirato soltanto; costei sommoveva in me l’astio profondo dell’uomo svergognato, dell’uomo messo alla gogna; addensavo la mia rabbia, la mia bile per una pronta vendetta che, fosse pure indegna, mi riscuotesse subito da una umiliazione intollerabile.

Tesi il braccio e la mano verso la ragazza, quasi ad arrestarla perchè il colpo non fallisse.

— Chi non capisce niente è proprio lei, signorina Melvi! Lei, che non capisce di poter dire a me «la sua Ortensia» senza ferirmi. Sì: Ortensia è mia; ma in un senso che sfugge alla intelligenza della malignità!

— Malignità? Poverino! Dal modo con cui lei or ora guardava a Roveni....