Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/181

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Proseguimmo in silenzio.

Io vincerei; ma a, che prezzo! Nè tardai ad avvedermi che l’intima battalia di Ortensia superava forse, per asperità, quella che io sosteneva in me. Ah il sogno della giovine innamorata s’abbatteva; s’infrangevano le ardite speranze contro la mia durezza? Ma il silenzio di lei mi significava che la giovinetta, che per un momento avevo creduto debole, già m’opponeva la fierezza di una passione pienamente consapevole, di una donna già consapevole e guardinga della sua dignità. Dalla bella persona, alta e snella, che mi camminava al fianco, ricevevo una impressione di severità e di nobiltà, che non poteva esserei solo l’abito elegante e di colore insolito a conferirle.

Quant’era mutata in pochi giorni! Nè era quella mutazione un travisamento innaturale e transitorio, quale deriva talvolta da un gran dolore; era come un raccoglimento rapido eppur naturale e duraturo che una misteriosa energia aveva imposto a quell’animo irrequieto e della quale tutta la persona pareva improvvisamente dominata e investita. Non osavo guardarla negli occhi, nei begli occhi in cui poco prima avevo scorto uno stupore di gioia e di vita nuova e poi un tremulo desiderio d’abbandono: temevo ora di scorgervi lo sdegno e il rimprovero di un’imperdonabile offesa.

Per togliermi e togliere Ortensia da tanta pena cercavo invano d’apparir disinvolto, traendo argomento a discorrere da ciò che osservavo nella via.

Ricordo che dalla piazza avanti la chiesa un figuro giullaresco chiamava a suon di tromba gli ultimi curiosi attorno a una sonnambula.