Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/32

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Quanto alle Melvi, la madre non riusciva a nascondere a me l’ipocrisia e la malignità della paesana che non potè mai uscir di paese e che in paese vuol sembrar amica di tutti perchè invisa a tutti. Lingua iniqua! Ma quante esclamazioni, espansioni d’affetto! La bontà si sarebbe detto trasudasse da tutti i pori della sua piccola e grassa persona; la virtù in lei sembrava tanta da permetterle di congratularsi a ogni nuovo matrimonio che s’annunciasse o celebrasse a Valdigorgo, quando la rodeva l’invidia, la tormentava il dubbio di non poter accalappiare un marito per la sua Anna; la sua Anna, irresistibile, per lei, di vezzi e più di carne. Ed Anna.... Che dire di Anna Melvi: come esprimere quel che io provo ora, scrivendo queste due parole?

Di rado tutti costoro, nei primi giorni del mio ritorno lassù, si eran trovati insieme alla villa. Di solito l’una e l’altra mamma saliva da Eugenia, e sol talvolta, quando Eugenia riposava le ragazze e i giovani si erano raccolti nell’ampia sala a terreno, o nella terrazza, ai loro giochi di pegni, mentre Moser si divagava aizzando il cavalier Fulgosi contro il Learchi padre. Io per lo più avevo cercato scampo nella mia camera, col pretesto di dormire.

Ma venne la buona novella; il medico curante, pago della mia approvazione non che del buon effetto delle sue cure, annunciò che a giorni permetterebbe alla convalescente d’alzarsi.

Eugenia era in piena convalescenza. Ed io?... La sera della buona novella andavo per la casa cercando invano di raccogliere in me il senso di quella letizia che vedevo fuori di me. Non potevo fingere un piacere che mi sfuggiva; avrei