Pagina:Infessura - Diario della città di Roma.djvu/10

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viii o. tommasini

di ristamparla nella sua grande raccolta. L’aveva l’Eckhart pubblicato secondo un manoscritto della biblioteca Reale d’Hannover, riscontrandolo con un altro della Reale biblioteca di Berlino; il Muratori lo diè secondo un codice Estense, non migliore di quello usato dall’Eckhart, mutilandone in alcune parti il testo, per non irritare troppo i potenti, cui sapevano d’offesa le cose che quel Diario toglieva all’oblio. Pure, per quanto allora fosse difficile far meglio, nè l’una edizione nè l’altra parve bastare ai desideri della critica. Dei manoscritti del Diario si aveva grandissimo numero; nè sembrò giustificata la preferenza dagli editori facilmente accordata a quelli che la ventura aveva loro posto dinnanzi. Quei manoscritti medesimi recavano tracce non poche e non lievi di dissenso tra loro, che necessitava o rimuovere o spiegare; intorno alla persona dell’autore conveniva raccogliere notizie, e intender come, togliendo le mosse dall’anno 1294, ei si fosse disteso col racconto sorvolando sopra due secoli. Laonde si dubitò prima che non avesse incorporato nel suo Diario notamenti d’antenati suoi, o d’altri che avessero esercitato come lui l’officio di scriba presso il Comune di Roma. Ma il Muratori, precorrendo alle investigazioni col suo felicissimo intuito, potè affermare «uni Infessurae tribuendum unicum hoc Diarium». Io mi accinsi invece a tentarne la compagine e a farne minuta disamina, rappresentando in uno specchio complessivo, che qui riproduco, le note croniche di cui è contesto: