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xviii | o. tommasini |
dell’I. col mondo classico appaion molteplici e frequenti. Egli cita una volta Ovidio1 una volta Giovenale2; ma l’allusione alla Tulliola di Cicerone, a proposito del cadavere intatto della giovanetta antica ritrovato nel 1484, sepolto con tanto amore dai suoi contemporanei, recato come portento d’imbalsamazione e di bellezza in Campidoglio, non gli appartiene. Fu una postilla fantastica dell’accademia, che provò d’infiltrarsi nel testo del Diario di lui. Ei raccoglie bensì pasquilli contro Sisto IV, Innocenzo VIII, Alessandro VI, ma solo perchè la curia e la città ne rigurgitano; e non è da credere che il brutto epigramma intorno a Roma3, quantunque ei dica di averlo scritto, gli appartenga come ad autore. Allega una volta il Platina, come autorità storica4; una volta un versetto di salmo, per malignare intorno alla fecondità di papa Cibo, giovane e genovese5; altra m volta un proverbio come un detto d’apostolo6. Ma la vera autorità che lo domina e gli pervade lo spirito, l’autorità che gli sostiene il senso morale ferito, che gli nudrisce l’ironia e la speranza civile, é quella delle profezie.
Il calabrese abate Giovacchino |
che Dante7 pose in mezzo ai campioni dell’esercito di Cristo nell’alto del paradiso, l’unico profeta che in tutta l’êra