Pagina:Intorno alla Strada Ferrata dell'Italia Centrale.djvu/18

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che giunti a Riola sul fiume Reno avremmo dovuto affrontare le insigni difficoltà di quella Valle per Kil. 26 prima di giungere alla Madonna del Sasso; ma quantunque l’instabilità di quel terreno, non da noi veduto di volo, ma attentamente studiato, come sopra dicemmo ci inspirasse le più gravi apprensioni, dovevamo pure riflettere che gl’Ingegneri Cini, e Pohlmeyer non avevano esitato a proporvi una via ferrata. Può credersi è vero, che costretti come Essi erano di dirigersi a Pistoja, ne altra scelta avendo che quella di traversare così difficili luoghi sembrassero coraggiosi, mentre in realtà non fossero che stretti da dura necessità, ed ostentassero in quella posizione una fiducia che forse non avevano in cuore. Ma potrebbe anche essere che altri di noi più versato, ed esperto in arte conoscesse mezzi meno incerti, e dispendiosi per superare quelle difficoltà che noi sgomentano; e ciò pur fosse, che allora il problema di superare l’Appennino Toscano sarebbe così felicemente risoluto colla linea di Limentra da poter dire con verità scomparsa adatto la fatale barriera che divide il bel paese.

Ben volentieri adunque ammettiamo come ipotesi che il tronco del Reno compreso tra Riola, e la Madonna del Sasso (Kil. 26) non sgomenti per situarvi una via ferrata, poichè in tale ipotesi l’ultimo tronco della Grande Limentra segna naturalmente il modo di giungere al piede dell’Appennino di Gavigno presso Lentula, e questo traforato di condursi per Val-di-Bisenzio a Prato con sì facile modo che avrebbe per noi stessi dell’incredibile, se non ce ne facessero certi le esatte livellazioni, i cui resultati somministrano il profilo longitudinale che vedesi delineato nella annessa tavola. Quest’andamento muovendo dalla Stazione di Prato, si confonde con quello già descritto di Montepiano fino allo sbocco della Carigiola nel Bisenzio al di sopra di Mercatale e S. Quirico. Quivi tenendosi con minore acclività della linea di Montepiano, oltrepassa con più facile modo le inflessioni del terreno lungo la Carigiola, e raggiunge sopra Peraldaccio il piede dell’Appennino di Gavigno al mulino Piacenti senza mai usare pendenze superiori al 12 per mille. La lunghezza totale della salita si riduce così a Kil. 43, e la pendenza all’11.36 per mille stando sempre lungo il corso dei fiumi, e dispiegandosi con curve di un raggio non mai minore; ma ordinariamente maggiore di metri 400.

Il superare la subita inclinazione degli Appennini sul lato di mezzogiorno è stato sempre lo scoglio nel quale doverono urtare quanti hanno immaginato vie ferrate attraverso di quella montuosa catena, ma con questo andamento una tal difficoltà scomparisce meglio che non la elevazione del colle di Siena, superata dal benemerito Ingegnere Pianigiani con tanta lode, che la via da Esso condotta comparisce ai viandanti, ed è veramente mirabile.

Quanto al principale traforo, basta il già detto a dimostrare che la lunghezza di Kil. 4 non può sgomentare dopo le opere congeneri eseguite con esito fortunato. Il monte di Gavigno che noi sottopassiamo tra la foce del Tabernacolo, quella del Cattarello sulla base di soli Kil. 4 si eleva sul mulino Piacenti metri 480: può argomentarsi da ciò quanto grande ne sia l’inclinazione