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Pagina:Iorga - Breve storia dei rumeni, 1911.djvu/68

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64 capitolo iv


«Il Gran-Turco, inteso ch’erano alle mani, montò a cavallo con la sua Corte, et messe li gianizzari avanti, et lui col resto della Corte se gli avviò dietro, et, gionti ad un torrente, largo bonamente un tirar d’arco, con poca acqua et già roso, et haveva le rive alte, quando fossimo appresentati a detta acqua col Signore, sopra la riva del detto torrente, fossemo salutati dall’artegliaria. Ma facevano poco danno, perchè eramo lontano circa un miglio, et, calati et passati detto torente, al montar dell’altra riva etiam furono tratte quantità d’artegliaria. Dove furono guasti et morti alcuni, et poteva etiam toccar al Signor Gran-Turco, imperocché era alla sorte come altri. De’ quali non poco distanti da lui ne furono tocchi et guasti et morti alcuni, tra li quali fu un nostro compagno, il quale haveva nome Zachia di Longo, dal Signore per manco di due pertiche di misura. Et, restata la furia dell’artegliaria, il Gran-Turco si messe a fuggire galoppando il cavallo, et, gionto la fantaria, ch’era poco d’avanti, et fermosi contra l’inimico, per non lasciar più trar artegliarie. Et così tutti s’affrettorono di buon cuore. Tuttavia il Gran-Turco con quelli da cavallo teneva con loro. In poco di spatio giongessimo all’inimici, et immediate salimo sopra li ripari, et messemo in fuga il conte Stefano, toltogli l’artegliarie, et lo segui