Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/155

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Cicerone 135

della passata grandezza. Il mirabile edifizio politico, alla cui conservazione egli consacrò la vita, e che nelle sue opere egli si piace di chiamare eterno, è crollato da un pezzo: ma le verdi piagge della Campania ed i boscosi ciglioni de’ colli Albani sono tuttora sacri all’onore di esso. Per entro quella un tempo imperiosa metropoli, regina ed arbitra della terra, stanno profonde rovine; i dorati tetti del Campidoglio, splendenti un giorno come maestoso diadema sulla città di cui erano ornamento, giaciono fra rottami; il pomposo sacerdote non ne ascende più, seguito dalle vergini, i cento gradini per recarsi all’ara de’ suoi numi bugiardi; l’erba è sbrucata nel Foro deserto, e infrante colonne sole parlano de’ magnifici edifizj consacrati alla Concordia o a Giove Tonante, in cui raccoglievasi una volta il senato a deliberare dei re soggiogati: pure la voce di Marco Tullio sembra ancora echeggiarvi e parlare all’orecchio del viaggiatore. Tanto è il sublime potere dell’intelligenza, il carattere del pensiero, che sopravvive alle violenze e alle rovine, al succedere di generazioni a generazioni; e mentre l’aspetto del mondo materiale, non meno che i monumenti innalzati da’ suoi passaggieri abitanti, rivela l’alterna onnipotenza delle umane sorti e quella forza operosa che le affatica di moto in moto, e travolge l’uomo e le sue tombe e le estreme impronte e le stesse ruine, esso conserva le sue prime sembianze di sempre nuova e incorruttibile bellezza.