Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/252

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232 illustri italiani

dissime imprese in piccolissimo volume, la cui naturale semplicità e la limpida ed evidente concisione già erano in delizia a’ contemporanei1, e fin ad oggi non trovarono emulo. Gli altri Latini ricalcano continuamente i Greci; egli dice quel che ha pensato e sentito, nè ci appare altro che Cesare, Cesare invitto generale e invitto scrittore: rapido nel narrare come nel compir le imprese, trova l’eleganza, non la cerca; non prepara gli effetti; va tutto spontaneo e di primo getto; e sebbene nol possiamo credere imparziale, anzi si si ravvisi un sotto fine in quel che racconta, si indovini quel che tace e l’arte di lumeggiare una circostanza, un’altra adombrarne, eccedette chi pretese scorgervi il proposito deliberato di mentire e di presentar sè stesso al popolo e ai posteri in maschera, valendosi d’una fredda ironia, e con profondo sprezzo del genere umano attribuendo tutto alla fortuna. Oltre molte arringhe, avea composto tragedie, due libri delle analogie grammaticali, trattati sugli auspizj e sull’aruspicina; sul moto degli astri, un poema intitolato Iber ed altre poesie.

Mentre i suoi emuli ritorcevano l’occhio verso il passato, egli lo spingea verso l’avvenire; donde una franchezza d’operare, sconosciuta a quelli; e ne’ suoi ardimenti non si lasciava rattenere da nulla, nè tampoco dalla giustizia. La repubblica nel decennio ch’egli avea campeggiato nelle Gallie, sopraffannata dall’anarchia, pareva un cavallo bizzarro che ha bisogno di un domatore2. Lo impoverire dei molti attribuiva onnipotenza ai pochi ricchi; i comandi prolungati e le commissioni accumulate sopra una sola testa, avvezzavano a identificare la causa nazionale con un uomo; talchè non parlavasi più della repubblica, sibbene di Cesare e Pompeo, sopra i quali ormai si concentra l’interesse. Pertanto in quelle ultime lotte nulla appare

  1. Nudi sunt, recti et venusti, omni ornatu orationis, tamquam veste, detracto; sed dum voluit alios habere parata unde sumerent qui vellent scribere historiam, ineptis gratum fortasse fecit qui volunt illa calamistris inurere; sanos quidem homines a scribendo deterruit: nihil enim est in historia pura et illustri brevitate dulcius. Cicerone, De orat. 75. Summus auctorum divus Julius. Tacito. Tanta in eo vis est, id acumen, et cuncitatio, ut illum eodem animo dixisse quo bellavit appareat. Quintiliano, Inst. orat. X, 1.
    L’ottavo libro della Guerra gallica si ascrive comunemente a un Irzio, che stese pure i commentarj sulle guerre d’Alessandria, d’Africa e di Spagna.
  2. Vedasi quel che ne dicemmo nella vita di Cicerone.