Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/384

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362 illustri italiani


Il popolo romano, le cui idee liberali sono, come l’orizzonte della loro città, circoscritte fra i sette colli, dà orecchio volenteroso a chi gli rammemora le grandezze di quelli che considera come suoi avi; i letterati, che allora cominciavano a leggere in Livio e Sallustio, piacevansi di riudire gli antichi nomi; Cola sale in credito come chiunque offre un rimedio a gravissima malattia; poi, côlta l’occasione che i baroni erano fuori, invita il popolo ad un’adunanza ov’egli favellerà. Passa

    genio (1145), il quale dovette coll’armi domar quella gente, che san Bernardo qualificava proterva e fastosa, disavvezza alla pace, avvezza al tumulto, immite, intrattabile, non sottomessa se non quando le manchi forza di resistere. E questa prevalse, e cacciò il papa e invitò l’imperatore Corrado III, vantando d’avere operato solo per restituire a Roma l’ecclissato splendore; e secondo la storia, le prediche d’Arnaldo e il voto de’ giureconsulti classici, voleano riformare lo Stato, assicurando illimitata autorità al principe. Ma ai nobili premea di conservar le loro prerogative a fronte dell’imperatore come del papa; e quando il popolo trucidò il cardinale di Santa Prudenziana, il nuovo papa Adriano IV diede l’insolito esempio di metter all’interdetto la capitale del cristianesimo, finchè non ne fosse espulso Arnaldo. Commosso dal vedersi negati i sacramenti all’avvicinar della Pasqua, il popolo cacciò Arnaldo, che rifuggì presso un conte di Campania.
    Intanto era venuto imperatore di Germania Federico Barbarossa, risoluto di ripristinar l’autorità imperiale, scassinata in Italia dal costituirsi de’ Comuni, riformare il sistema ecclesiastico, il feudale, il municipale. Mosso a Roma per esser coronato, vi trovò in piedi la repubblica istituita da Arnaldo, la quale, ristretto il papa nella città Leonina, gl’intimava rinunziasse ad ogni podestà temporale, e s’accontentasse del regno che non è di questo mondo. I repubblicani speravano prevarrebbe in Federico l’antica nimicizia contro i papi; ma egli, uom dell’ordine, astiava le rivoluzioni, e questo slancio della gran città verso la forma che fu sempre prediletta in Italia, ma che ridurrebbe al nulla la prerogativa imperiale. Pertanto (1153) avuto nelle mani Arnaldo, lo consegnò al prefetto imperiale della città. A questo l’esser presente l’imperatore conferiva pieni poteri, elidendo ogni contrasto de’ preti; sicchè egli fece, come eretico e ribelle, strangolare Arnaldo, ardere in piazza del Popolo, e gettarne le ceneri nel Tevere. La turba accorse come ad ogni spettacolo; gli scrittori applaudirono; Goffredo di Viterbo canta (Pantheon 464)

    Dogmata cujus erant quasi pervertentia mundum
    Strangulat hunc laqueus, ignis et unda vehunt:

    Gunter nel Ligurino dice s’era fatto reo contro ambedue le maestà:

    sic læsus stultus utraque
    Majestate reum geminæ se fecerat aulæ;
    Assumpta sapientis fronte, diserto
    Fallebat sermone rudes, clerumque procaci
    Insectans odio, monachorum acerrimus hostis...
    Impia mellifluis admissens toxica verbis.

    nè alcun contemporaneo lo compiange, o nega gli aberramenti suoi. Solo nel secolo