Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/403

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ovidio 381

racconto e le parlate tenessero le veci dell’azione, come nelle pochissime tragedie romane che ci restano, e in quelle di cui avanza qualche ricordo.

Opera maggiore consigliavangli il suo ingegno e i suoi amici, onde intraprese le Metamorfosi.

Nei miti primitivi de’ popoli si riscontrano certe somiglianze, che non credo abbastanza spiegate dalla natura comune degli uomini. In quel periodo di spontaneità, ogni evento, per quanto naturale, ogni parola racchiudeva il simbolo d’un Dio; tutto era effetto o volontà o trasformazione d’un Dio; concezioni dispajate, ma dove continuamente il cielo si connette alla terra, il nume all’uomo, sicchè la storia degli uni come degli altri variavasi e svolgeasi ogni giorno, e le guerre, le alleanze, le vendette, gli amori de’ mortali riproduceansi nell’Olimpo, elevato non più che le montagne, abitato da esseri poco più forti e nulla men passionati che gli uomini. Se il simbolo e la metemsicosi foggiarono stranamente le divinità egizie e orientali, nella religione greca il reale e l’ideale si fusero in armonia; la coscienza creava gli Dei a sua immagine, e colla libertà del racconto, dell’arte, fin dell’ironia, senza simboli nè scienza, ma sempre ridenti di bellezza. Tali furono ritratti dai primi poeti: e sol tardi le analisi filosofiche d’Anassagora e le storiche di Eveemero confusero quegli esseri colle forze cosmiche, o cogli eroi veramente vissuti, e per benemerenza onorati di culto; la scienza uccise l’arte; pose discordia fra il mito e la riflessione, sinchè spinse le menti nello scetticismo. Allora ai poeti primitivi di spontaneità creatrice succedono quelli di riflessione consapevole.

I miti adottati dagli aborigeni e dai Greci non furono svolti dalla civiltà tutta legale dei Romani, in una lingua severa ed aliena dalle astrazioni; sicchè il culto si trovò ridotto a precetti dell’autorità, a legame (re-ligio) di Stato. Questa mancanza di virtù genitrice dei miti, come la chiama Mommsen, isterilì anche l’arte e impedì ogni originalità.

Fra i Latini, Lucrezio cantò le religioni, la natura delle cose e degli Dei, deducendo i concetti dai Greci; ma vi consacrò lo scetticismo suo e de’ suoi tempi, quando l’ideale era fuggito da un mondo senza Dei, e il sentimento contrastava colla ragione; non vide che credenze perite (religio pedibus subjecta vicissim obteritur): e l’uomo viucitor del cielo (non exæquat Victoria coelo); l’uomo che rompe le