Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/425

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torquato tasso 401

senza che un’ottava ti resti in memoria, o ti lasci desiderio di rileggerla.

Se schivò le laidezze de’ poemi congeneri, s’imbrattò nelle adulazioni comuni; e al cardinale Antonio Gallo scriveva il 12 luglio 1560: — Mando a S. E. due quinterni dell’Amadigi, dove sono i due tempj della Fama e della Pudicizia: nell’uno laudo l’imperatore Carlo V, il re suo figliuolo, molti capitani generali illustrissimi, così de’ morti come de’ vivi, e altri illustri nell’arte militare; nell’altro lodo molte signore e madonne italiane. E Dio perdoni all’Ariosto che, coll’introdur questo abuso ne’ poemi, ha obbligato chi scriverà dopo lui ad imitarlo. Che, ancora ch’egli imitasse Virgilio, passò, in questa parte almeno, i segni del giudizio, sforzato dall’adulazione che allora ed oggi più che mai regna nel mondo. Conciossiachè Virgilio nel VI, conoscendo che questo era per causar sazietà, fece menzione di pochi; ma egli dimora nella cosa, e di tanti vuol far menzione, che viene in fastidio. E pur è di mestieri che noi, che scriviamo da poi lui, andiamo per le istesse orme camminando. A me, perchè d’alcuni bisogna ch’io parli per l’obbligo di benefizj ricevuti, d’alcuni per la speranza ch’io ho di riceverne, d’alcuni per la riverenza, d’alcuni per merito di virtù, d’alcuni mal mio grado.... tanto mi sarà lecito dire, che in questa parte fastidirò meno che l’Ariosto».

Ma da quel Carlo V ch’egli sollucherava, eragli stato tolto il pane pe’ suoi figliuoli; e invece d’acconciarsi a un onorato mestiero, con cortigianerie ne invocava le misericordie, e ad esso cardinal Gallo scrivea il 18 maggio, anno stesso: — Se la magnanimità del cattolico re, al quale ho dedicato questo poema, non si muove a pietà delle mie disgrazie, e in ricompensa di tante mie fatiche non fa restituire a’ miei figliuoli l’eredità materna, e non ristora in alcuna parte i miei gran danni, io mi trovo a mal partito».

Chi c’intende sa perchè abbondiamo in queste particolarità, nè crederà superfluo l’avvertire come Bernardo Tasso compose que’ cento canti senza tampoco sapere se il suo Amadigi fosse di Gallia o di Galles, cioè nè dove nè quando succedano que’ fatti; poi gliene viene rimorso, e — Non sarebb’egli peccato veramente degno di riprensione; peccato, non di trascuraggine, ma d’ignoranza, e di quelli che Aristotele vuole nella sua poetica sieno indegni d’escusazione, se io pubblicassi questo poema sotto il titolo d’Amadigi di Gaula, senza sapere dove fosse questo regno? Non volete voi che io nomini

Cantù, — Illustri italiani, vol. I. 26