Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/636

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612 illustri italiani

docebit mites vias tuas. Laddove, volendo giudicare le cose divine col discorso umano, saremo abbandonati da Dio, e in questo secolo contenzioso talmente ci accosteremo ad una delle parti ed odieremo l’altra, che perderemo del tutto il giudizio e la carità, e dimanderemo la luce tenebre e tenebre la luce; o persuadendoci d’essere ricchi e beati, saremo poveri, miseri e miserabili per non saper separare pretiosum a vili; la qual scienza senza lo spirito di Cristo non si può imparare; al qual sia gloria in sempiterno, amen».

Il Flaminio esalta grandemente l’Imitazione di Cristo, e — non saprei proporvi libro alcuno (non parlo della Scrittura santa) che fosse più utile di quel libretto, volendo voi leggere non per curiosità nè per saper ragionare e disputare delle cose cristiane, ma per edificare l’anima vostra, e attendere alla pratica del vivere cristiano, nella quale consiste tutta la somma, come l’uomo ha accettato la grazia del vangelo, cioè la giustificazione per la fede. È ben vero che una cosa desidero in detto libro, cioè che non approvo la via del timore, della quale egli spesso si serve. Non già che io biasimi ogni sorta di timore, ma biasimo il timore penale, il quale è segno d’infedeltà o di fede debolissima; perocchè, se io credo daddovero che Cristo abbia soddisfatto per tutti i miei peccati passati, presenti e futuri, non è possibile che io tema di essere condannato nel giudizio di Dio; massime se io credo che la giustizia e la santità di Cristo sia divenuta mia per la fede, come debbo credere, se voglio essere vero cristiano»1.

Il cardinale Polo invitò il Flaminio a venire da lui a Viterbo, e quando fu eletto uno dei Legati al Concilio di Trento, ve lo condusse. Il Flaminio morì poi di cinquantadue anni, e Pier Vettori ne dava notizia ad esso cardinale da Firenze il 13 aprile 1550, consolandosi che — santamente e piamente fosse uscito di vita con tal costanza di mente e alacrità, qual poteva aspettarsi da uomo che, come lui, era vissuto imbevuto della vera religione». Il Polo curò fosse sepolto nella chiesa degli Inglesi.

Reginaldo Polo (1500-1558) dei duchi di Soffolk, per padre e per madre era cugino d’Enrico VIII, che giovanissimo lo elesse decano della Chiesa d’Oxford. Venuto a studio a Padova, contrasse famigliarità col Bembo, con Gaspare Contarini, con Giampietro Caraffa, e

  1. A Carlo Gualteruzzi, 28 febbrajo 1542.