Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/648

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624 illustri italiani

               Ora in sul destro, ora in sul manco piede
                    Variando, cerco della mia salute:
                    Fra ’l vizio e la virtute
                    Il cor confuso mi travaglia e stanca;
                    Come chi ’l ciel non vede
                    Che per ogni sentier si perde e manca.
                    Porgo la carta bianca
                    A’ vostri sacri inchiostri,
                    Ch’amor mi sganni e pietà ’l ver ne scriva,
                    Che l’alma da sè franca
                    Non pieghi agli error nostri
                    Mio breve resto, e che men cieco viva
                    Chieggo a voi, alta e diva
                    Donna, saper se ’n ciel men grado tiene
                    L’umil peccato che ’l soperchio bene.

Il Campanari pretende possedere un ritratto della Colonna di mano di Michelangelo, e sebbene paja affatto naturale ch’egli volesse ritrarre l’amica, troppe ragioni s’oppongono al crederlo autentico: l’avrebbero taciuto il Condivi e Michelangelo stesso? Bensì egli le mandava i versi che per lei componeva, ed essa lo ricambiava colla raccolta de’ suoi: a domanda di essa faceva un Cristo in croce, or «come corpo morto abbandonato qual cascherebbe ai piedi della sua santissima madre»; or «in atto divino col volto rivolto al Padre che par che dica Eli Eli». Ella, che si sentiva «armata di cento invitti scudi, e non era più sensibile ormai che agli assalti dell’eterno amante ed ai desiderj delle eterne nozze», non poteva ricambiar d’amore il passionato artista, nè la pietà e l’età sua poteano soffrire altro affetto che platonico: ma godeva dell’omaggio d’ammirazione che quel supremo genio le tributava; le sue rime accoglieva, come aveva accolte quelle del Molza, del Bembo, del Tarsia, di tant’altri, tanto più che, meglio di questi, era capace d’intendere la santa sua melanconia; e ne’ colloqui e nel carteggio ricambiavansi idee elevate dell’arte, e della fede da cui questa è ispirata. E benchè egli avesse lei presente in ogni opera sua, e potesse scrivere, «Ho fatto per quella più che per anima che io conoscessi mai al mondo», essa, più s’avanzava verso la tomba, sentiva qualche scrupolo di quelle distrazioni, e gli mandava da Viterbo: — Se voi ed io continuiamo il scrivere secondo il mio obbligo e la vostra cortesia,