Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/75

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rico VII a recidere Firenze, testa dell’idra; il Petrarca chetava le liberali declamazioni di frà Bussolari, appoggiò gli Scaligeri quando spedirono in Avignone a chiedere la signoria di Parma, e andava gridando pace, pace, pace, senza ricordare che questa ben si muta anche coll’armi quando non sia dignitosa, e quando al decoro nazionale importi respingere il «bavarico inganno» e il «diluvio raccolto di deserti strani per inondare i nostri dolci campi».

Usciti ambidue di gente guelfa, sparlarono della Corte pontifizia; ma Dante pei mali che credea venirne all’Italia ed alla Chiesa, il Petrarca per le dissolutezze di quella e perchè dimorava fuori di Roma; e sebbene per classiche reminiscenze applaudisse a Cola Rienzi che rinnovava il tribunato, ed esortasse Carlo di Boemia a fiaccar le corna della Babilonia, pure continuò a viver caro ai prelati, e morì in odore di santità; mentre l’Alighieri errò sospettato di empio, e poco fallì si turbassero le stanche sue ossa1.

Secondo quest’indole, Dante, malgrado la disapprovazione e la novità, osò in lingua italiana descriver fondo a tutto l’universo; il Petrarca, benchè venuto dopo un tal esempio, non la credette acconcia che alle inezie vulgari, cui bramava dimenticate dagli altri e da sè stesso 2. Questi con dolcissima armonia cantò la più te-

  1. Guido da Polenta lo ripose in un’urna marmorea, finchè gli ergesse un sarcofago più degno, ma nol potè. Dopo due secoli, Bernardo Bembo, podestà veneto in Ravenna, gliene fece eriger uno dal valente architetto e scultore Pietro Lombardo nel 1483, con marmi scelti. Trovatolo deperito nel 1692, Domenico Corsi fiorentino legato di Romagna lo fe restaurare a pubbliche spese. Poi nel 1780 fu riedificato a disegno di Camillo Morigia e a spese del cardinale Valenti Gonzaga legato a latere della Romagna; Paolo Giabani luganese fece a stucco i quattro medaglioni, che raffigurano Virgilio, Brunetto Latini, Can Grande e Guido da Polenta.
    Le ossa del poeta stanno in un’urna di marmo greca, su cui a mezzo rilievo l’effigie di esso e la nota iscrizione, Jura monarchiae, ecc.; sotto all’urna una cassetta di marmo, contenente medaglie di Pio VI, del cardinal Valenti Gonzaga e una pergamena colla storia di quel sepolcro.
  2. Sonetto 25, II. Nella prefazione alle Epistole famigliari dice avere scritto alcune cose vulgari per dilettar gli orecchi del popolo. Nella VIII di esse soggiunge che, per sollievo dei suoi mali, dettò «le giovanili poesie vulgari», delle quali or prova pentimento e rossore («cantica, quorum hodie pudet ac pænitet»), ma che pur sono accettissime a coloro, i quali dallo stesso male sono compresi.» Nella XIII delle Senili: «Ineptias quas omnibus, et mihi quoque si liceat ignotas velim». E scolpandosi a quei che lo diceano invidioso di Dante: «Non so quanta faccia di vero sia in questo, ch’io abbia invidia a colui che consumò tutta la vita in quelle cose