Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/229

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tommaso campanella 219

non dispregevole su Maria Stuarda regina di Scozia. Similmente scrissi degli argomenti de’ tomisti contro Molina, e diversi opuscoli per gli amici. Ma finiti tutti questi lavori, accadde a me quello che vien detto da Salomone: Quando l’uomo avrà finito, allora comincierà; quando riposerà sarà affaticato. E sorgendo la persecuzione, la quale tanto lungamente esercitò tanti altri, fui condotto a Napoli come reo di maestà».

Arditissimo pensatore ma disordinato, mal distingue le proprie illusioni dalle intuizioni, e cambia facilmente secondo la passione1. Fissosi a sottrarsi alle possibilità di Lullo e alle formole della scolastica, divaga nella speculazione di principj supremi organici per riordinare tutto il sapere e l’operare umano, e stabilire sopra l’esperienza una filosofia nuova della natura, «il libro dove il senno eterno scrisse i proprj concetti». Volendo però combinarla colla rivelazione, non potendo esser vero in filosofia ciò che sia falso in teologia, evita d’affrontare con indipendenza il problema fondamentale della metafisica, e intanto trascende i limiti teologici, per raffigurar la rinnovazione dell’uomo mediante la scienza. Venera la rivelazione, fondamento della teologia, come della filosofia è fondamento la natura; ammira san Tommaso e Alberto Magno, ma la procellosa insofferenza lo getta nelle temerità della logica; riprova i Gentili, non approva i Cristiani, i quali ex parte christianizant et ex parte gentilizant: disgustato dei peripatetici, predilige il Telesio per la sua libertà di filosofare; scriveva al granduca Ferdinando II lodando i padri suoi, che, col revocare la platonica, avessero sbandita la filosofia aristotelica, e sostituito ai detti degli uomini l’esperienza della natura. «Io con questo favore ho riformato tutte le scienze secondo la natura e la scrittura de’ codici di Dio. Il secolo futuro giudicherà di noi, perchè il presente sempre crocifigge i suoi benefattori, ma poi resuscitano al terzo giorno del terzo secolo». E mandandogli da Parigi le sue opere, — Vedrà (dice) che in alcune cose non mi accordo con l’ammirabile Galileo, suo filosofo e mio caro amico e padrone. Può stare la discordia degli intelletti con la concordia della volontà di amendue: e so che è uomo tanto sincero e perfetto, che avrà più a piacere le opposizioni mie (del che tra me e lui c’è scambievole licenza) che non le approvazioni di altri (6 luglio 1638)».

  1. Allo Scioppio scrive: — Mens mea subito in id quod cupit immutatur».