Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/269

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frà bernardino ochino 259

ch’ella sia morta jeri, tanto ognun ne ragiona; ognun ne addita le orme: a lei le spose, a lei le madri dirigono voti e portano donativi. Pochi anni fa, alla granduchessa di Toscana che visitava il paese, le fanciulle offersero graziosi fiori, nell’artefare i quali sono abilissime, e volendo ella ricambiarle con un ricco donativo, esse la pregarono che invece ne facesse offerta alla loro santa Caterina. Nella cappella di essa, Pio IX, il 1857, veniva iti trionfo popolare, e vi riceveva al bacio del piede la conferenza di San Vincenzo di Paolo. Sono di questa città i papi Pio II, Pio III, Alessandro VII; delle vicinanze Giovanni I, Bonifacio VI, Gregorio VII, Alessandro III e moltissimi cardinali. Qui le arti belle fecero forse le prime prove di rinnovamento con Mino da Turrita, Guido, Duccio di Boninsegtia, Simon Memmi: come la poesia col Folcalchieri. Veneriamo tuttora la Madonna che portossi alla battaglia di Montaperti, ove i Fiorentini «fecero l’Arbia colorita in rosso»: e il sentimento cattolico si mantenne nella nostra pittura anche quando Roma e Firenze l’aveano sacrificato alla classica imitazione».

Questo ed altro mi dicea quel buon Senese: eppure è vero che da quella città ci vennero famosi eresiarchi, quali l’Ochino, i Soccini ed altri.

Domenico Tommasini fu un oscuro abitante della contrada dell’Oca, donde il soprannome di Ochino al suo figliuolo Bernardino. Questi, nato il 1487, vestitosi frate Osservante, n’uscì per mettersi a studiare medicina a Perugia, dove contrasse amicizia con Giulio De’ Medici, che fu poi Clemente VII; rientrato nell’Ordine, vi ottenne dignità, e ne agognava di maggiori; e forse sperò agevolarsele mettendosi ne’ Cappuccini, istituiti da soli dieci anni, e appena introdotti in Siena. Soffriva lotte colla carne: — Invano (egli confessa) io cercava mortificar il corpo con digiuni e preghiere. Alfine lessi la Scrittura, e gli occhi miei s’apersero, e Cristo mi rivelò tre grandi verità: che il Signore, col morire in croce, soddisfece pienamente alla giustizia del Padre, e meritò il Cielo a’ suoi eletti: che i voti religiosi sono invenzione umana; che la Chiesa di Roma è abbominevole agli occhi di Dio».

Ciò scrisse, e fors’anche pensò più tardi: per allora, sebbene creduto incostante di risoluzioni, acquistò tal rinomanza d’eccellente predicatore, che il cardinale Sadoleto lo equiparava a qualunque oratore antico. Il vescovo di Fossombrone scriveva ad Annibal Caro: