Pagina:Jessie White La miseria di Napoli.djvu/33

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gl’ipogei. 19

furono tramutati a spese del Municipio in più salubre quartiere.

Difatti, giunti alle falde del Monte d’Echia, abbiamo trovate per la più parte queste grotte occupate da greggi di pecore e di vacche, che con campanelle al collo girano mattina e sera per le belle vie di Napoli, i loro proprietarii urlando: latte da vendere, latte da vendere, per chi vuole e per chi non vuole prestarvi orecchio. Una di tali grotte però era ingombra da parecchie famiglie, ed io penetrai fino in fondo ripopolandola, coll’immaginazione, di quelle trenta famiglie che vi stavano pochi anni fa. Le grotte, che somigliano precisamente alle catacombe di Roma, sono scavate nel monte; epperò chi possiede l’appartamento all’entrata può stimarsi inquilino del piano nobile a cagione dell’aria e della luce abbondanti.

Ma penetrandovi e spartendo questa lunga grotta in trenta quartieri, appena può idearsi la condizione di coloro che vivono in fondo, ove l’atmosfera è di carbonio puro, ove nulla difende questi infelici dall’umidità, onde son sature la vôlta e la nuda terra, ove una semplice marca convenzionale divide l’una dall’altra famiglia, come segno di proprietà, e ove codesti infelici ospiti spagari, lavorando ciascheduno 18 ore al giorno, pervengono a torcere 50 matasse di spago per guadagnare 15 grani; dai quali deducendone sette di spesa, restano otto grani per vivere. Ognuno deve possedere la propria ruota per avvolgere il canape e svolgerlo in fili più o meno sottili; e miseri fanciulli affamali girano lunghe ore il perno fissato nell’asse della ruota.