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viaggio al centro della terra | 119 |
«Sparito.»
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«Axel, mio povero. Axel, fatti cuore.»
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«Aspettate, io sono stanco, non ho più forza di rispondere, ma parlatemi.»
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«Coraggio, soggiunse mio zio: non parlare, ascoltami. Noi ti abbiamo cercato risalendo e discendendo la galleria. Impossibile trovarti. Ah! io ti ho ben pianto, fanciullo mio! Alla fine credendoti sempre sulla strada dell’Hans-Bach siamo ridiscesi sparando colpi di fucile; ora se le nostre voci possono congiungersi è effetto di acustica! le nostre mani non possono toccarsi, ma non disperare, Axel, è già qualche cosa potersi udire.»
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In questo frattempo io aveva riflettuto; una speranza, vaga tuttavia, mi ritornava al cuore. Prima di tutto vi era una cosa che m’importava di conoscere: però accostai le labbra alla muraglia e dissi:
«Zio.»
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«Figlio mio,» mi fu risposto dopo alcuni istanti.
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«Bisogna prima di tutto sapere che distanza ci separa.»
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«La cosa è facile.»
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«Avete. il vostro cronometro?»
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«Sì.»
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«Ebbene, prendetelo; pronunziate il mio nome notando, esattamente il secondo in cui parlerete; io lo ripeterò appena l’avrò udito, e voi osserverete del pari il momento preciso in cui vi giungerà la mia risposta.»
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«Sta bene, e la metà del tempo compreso tra la domanda e la risposta indicherà quello che la mia voce impiega per arrivare fino a te.»
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«Appunto, zio.»