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viaggio al centro della terra | 183 |
di temperatura, nessun incidente modificò la nostra situazione.
Infine mio zio ruppe il silenzio.
«Vediamo, diss’egli, convien prendere un partito.
— Prendere un partito? ribattei.
— Sì, convien riparare le nostre forze. Se noi cerchiamo, risparmiando questi avanzi di nutrimento, di prolungare la nostra esistenza di alcune ore, saremo deboli sino alla fine.
— Sì, fino alla fine, che non si farà molto aspettare.
— Ebbene, se una probabilità di salvezza si presenti, se sia necessario un momento di azione, dove troveremo noi la forza di agire, lasciandoci così indebolire dall’inedia?
— E quando avremo divorato questo pezzo di carne che cosa ci rimarrà?
— Nulla, Axel, nulla; ma nutrirà forse di più mangiandolo cogli occhi? Tu ragioni come un uomo senza volontà, come un essere senza energia!
— Non disperate voi dunque? esclamai irritato.
— No, replicò fermamente il professore.
— Come, voi credete ancora alla salvezza?
— Sì, certo; fino a tanto che il suo cuore batte e la sua carne palpita, io non ammetto che una creatura do-tata di volontà ceda alla disperazione.»
Quali parole! Certo l’uomo che le pronunciava in siffatta occorrenza era di tempra poco comune.
«Infine, diss’io, che pretendete di fare?
— Mangiare ciò che rimane di nutrimento fino all’ultima briciola, per riparare le forze perdute. Questo pasto sarà l’ultimo, sia; ma almeno invece di essere sfiniti, ridiverremo uomini.
— Ebbene divoriamo,» esclamai.
Mio zio prese il pezzo di carne e i pochi biscotti scampati al naufragio, fece tre porzioni eguali e le distribuì.
Mangiammo. Hans aveva, rifrugando bene, trovato un fiaschetto semipieno di ginepro; ce l’offrì, ed il bene-fico liquore ebbe il potere di rianimarci alquanto.
«Förtrafflig! disse Hans bevendo a sua volta.
— Eccellente! rispose mio zio.»
Io aveva ripreso qualche speranza, ma il nostro ultimo pasto era finito. Erano allora le cinque del mattino.
Ciascuno si abbandonò alle sue riflessioni. Per parte mia i miei pensieri non erano fatti che di ricordi, e questi mi riconducevano alla superficie della Terra che