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18 viaggio al centro della terra


V.

Ebbi appena il tempo di ricollocare sulla tavola il malcapitato documento.

Il professore Lidenbrock pareva profondamente assorto. Il suo pensiero dominante non gli lasciava un istante di requie; egli aveva evidentemente scrutato, analizzato la cosa e, poste in opera tutte le forze dell’immaginazione durante la passeggiata, ritornava per tentare qualche nuova combinazione.

Infatti, si assise nel seggiolone, e, presa la penna incominciò a scrivere formole che rassomigliavano a un calcolo algebrico.

Io seguiva collo sguardo la sua mano fremente e non perdevo un solo de’ suoi movimenti. Stava egli per produrre inopinatamente un risultato insperato? Tremavo senza ragione poichè la sola vera combinazione essendo già trovata, ogni altra ricerca diveniva necessariamente vana.

Durante tre lunghe ore mio zio lavorò senza parlare, senza sollevar il capo, cancellando, correggendo, raschiando, ricominciando mille volte.

Io sapeva che s’egli fosse riuscito a disporre le lettere secondo tutte le combinazioni possibili avrebbe trovato la frase fatta. Ma sapevo altresì che venti lettere soltanto possono formare due quintilioni, quattrocentotrentadue quattrilioni, novecentodue trilioni, otto miliardi centosettantasei milioni e seicentoquaranta mila combinazioni. Ora nella frase vi erano centotrentadue lettere e queste centotrentadue lettere davano un numero di frasi diverse composto per lo meno di centotrentatrè cifre, numero quasi impossibile ad esprimere che sfugge ad ogni apprezzamento.

Io era rassicurato circa questo mezzo eroico di risolvere il problema.

Tuttavia il tempo passava; venne la notte, i rumori della strada tacquero, e mio zio sempre incurvato sopra la sua bisogna non vide nulla, nemmeno la buona Marta che socchiuse l’uscio; non udì nulla, nemmeno la voce della degna vecchierella che diceva: