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32 viaggio al centro della terra

Vi riuscirà, non ne dubito. Caro Axel, la è pur la gran bella cosa consacrarsi di tal guisa alla scienza; qual gloria attende Lidenbrock, e come si rifletterà sul suo compagno! Al suo ritorno, sarai un uomo, suo eguale, libero di parlare, libero di agire, libero infine di....»

La giovinetta arrossì e non compì la frase; le sue parole mi rianimavano; tuttavia non volli credere ancora alla nostra partenza e trassi Graüben verso il gabinetto del professore.

«Zio, dissi, è dunque certo che noi partiamo?

— Come, e ne dubiti?

— No, risposi per non spiacergli; solo vi domanderò che cosa ne fa premura.

— Il tempo, il tempo che fugge con una rapidità irreparabile!

— Per altro noi non siamo che al 26 maggio, e fino alla fin di giugno!...

— E credi tu dunque, ignorante, che si vada così facilmente in Islanda? Se non m’avessi lasciato come un pazzo, io t’avrei condotto all’uffizio di Copenaghen presso Liffender e Compagni, e quivi avresti visto che da Copenaghen a Reykjawik non vi ha che un servizio, il 22 d’ogni mese, — Ebbene?

— Ebbene, se aspettassimo al 22 giugno arriveremmo troppo tardi per vedere l’ombra dello Scartaris lambire il cratere dello Sneffels; convien dunque recarci a Copenaghen al più presto per cercarvi un mezzo di trasporto. Va a far la tua valigia.»

Non c’era una sola parola a rispondere. Risalii nella mia camera, Graüben mi seguì. Fu essa che s’incaricò di ordinare, in una valigietta, gli oggetti necessarii al mio viaggio. Ella non era più commossa che se si fosse trattato d’una passeggiata a Lubecca o ad Heligoland; le sue manine andavano e venivano con precipitazione; parlava con calma, e mi dava ragioni piene di buon senso in favore della nostra spedizione. Mi affascinava, e tuttavia sentivo una certa collera contro di lei. Talvolta voleva adirarmi, ma ella non mostrava d’avvedersene e continuava tranquillamente la sua bisogna. Finalmente l’ultima correggia della valigia fu affibbiata, ed io discesi al pian terreno. Durante tutto il giorno i fornitori di strumenti di fisica, di armi, di apparecchi elettrici, si erano moltiplicati e la buona Marta ci perdeva il capo.

«Forse che il padrone è pazzo» mi chiese.