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xvi | prefazione. |
che per la pioggia caduta era oltre del solito enfiato, si trovò quella col caro pegno in evidente pericolo di sommergersi; quindi dubbiosa nel suo spavento, preso audace partito di avventare dall’altro margine il tenero fanciullo; e sviluppata poi correndo a ritrovarlo, quando si pensa mirarlo mal concio per la percossa si avvide, che come dall’angelo tutelare riservato sopra de’ sterpi giaceva in atto d’invitarla di bel nuovo ad arrecarselo in seno. Ottime sono le acque, disse Pindaro, ma più sempre furono tali in favor degli eroi! Mosè bambino dal Nilo, e Romolo dalle acque del Tebro furono a miglior sorte salvati; il tenero Abide, al contar di Giustino, preservato dalle acque, in cui fu il bambino quasi sommerso, venne riservato al dominio del regno paterno di Spagna.
Venuto pertanto il giorno di mercoledì, circondato da ministri della corte, venne avvisato esser l’ora di condursi ad effetto la sentenza. Sì amici, rispose il Moro, ubbidisco di buona voglia, andiamo col nome di Dio; e prendendo nelle mani l’imagine del Salvatore crocifisso, disse: essendo voi Signore con me, di che cosa io devo temere? ed aggiungendo uno degli astanti, che doveva farsi animo, proferì quel detto: Causa bona est, bonus Dominus, bona Crux, bona spes est, et cur non animo me iuvat esse bono? condotto nella gran piazza della Rocca di Londra, prossimo all’elevato palco, a cui si ascendeva per molti gradi, a causa della sua debolezza, diffidandosi di condurvisi, disse, pregando un giovane che all’aspetto impallidito, e lacrimoso, lo credeva di benigno genio: Vi prego figliuolo a farmi per carità un poco d’appoggio, finchè colà su io arrivi, che circa poi al discendere, altri se ne prenderà la cura; così allegro, confidato nella sua buona coscienza, scherzava, e direbbe il morale: Iocabatur miseriis, in quibus iocari debuisse quis nescit? potuisse quis credit? Pervenutovi, salutò con volto sereno il molto popolo presente, che con silenzio e mestizia, a lui parimente inchinandosi, diede segno del dispiacere che sentiva, vedendo così maltrattata l’innocenza. Alzò poscia il Moro la voce intrepida. Signori, alti ed impenetrabili sono i divini giudizj; necessariamente uno deve essere il termine di noi mortali, quale e come si sia non importa; purchè sortisca in grazia di Dio; per pietà pregatelo che riceva in pace quest’anima, ed io dall’altra parte lo supplico a render sempre felice il re nostro e tutti voi. Voltatosi al ministro di giustizia, che al solito gli chiedeva perdono prontamente gli donò un angelotto d’oro, ad imitazione d’illustrissimi martiri, come che volesse rimunerare il benefizio, che ne attendeva. Impetrato un poco di tempo, si diede a recitare genuflesso alcune delle sue solite preghiere, ed alzando un poco più la voce, poi disse: Suscipe Christe Jesu animam confiten-