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xxii prefazione.


Lettera di Pietro Giordani a Vincenzo Ferrario.


Voi l’anno passato ristampaste un’operetta di Erasmo, la quale fu veramente necessaria ne’ suoi tempi, e tuttavia si mantiene in credito per la fama dell’autore; ma poveri noi se non fossimo andati tanto innanzi da avere per inutile oggidì quell’Elogio della follia. Non prendereste a ristampare un’operetta egualmente antica, molto più elegante, utilissima all’età nostra e scritta da un ingegno non minore di Erasmo, amicissimo a lui per tutta la vita, e più di lui pratico nelle cose del mondo e faceto non meno di lui; un’operetta di un gran ministro di stato e di un martire? Io vi propongo e vi consiglio di ristampare l’antica traduzione italiana dell’Utopia di Tommaso Moro gran cancelliere d’Inghilterra. A me pare che sia onor di Milano ch’ella fosse qui stampata latina nel 1620 dal Bidelli, e dedicata a don Giulio Arese presidente del Senato. Mi pare che sia onor d’Italia che noi la traducessimo prima che i Francesi; i quali per verità più volte poi la tradussero. Il volgarizzamento italiano che io conosco è stampato in Venezia nel 1548: e mi apparisce, a molti modi del favellare, opera di un veneziano, benchè pubblicato da Antonfrancesco Doni fiorentino. E perciò converrebbe che nel riprodurre quell’antica stampa, si avesse innanzi l’originale, per renderla più esatta e conforme.

Certo i dotti italiani conoscono le gloriose fatiche e la fine immatura e gloriosa di Tommaso Moro: ma perchè un tant’uomo sia più noto anche agl’italiani meno letterati, mi piacerebbe, che innanzi a questo suo libretto faceste andare una notizia cavata da quelle memorie che nel 1808 si pubblicarono in Londra con altre opere di lui: di che diede sette estratti la Biblioteca Britannica di Ginevra del 1809. Sono in quegli estratti molte cose, che si possono benissimo tralasciare: ma tanto se ne può prendere da formarne buon ritratto di quel grande e celebre uomo. Nol chiamerò infelice; poichè egli pur senza lamenti si lasciò togliere dal tiranno la vita: e la coscienza delle insigni virtù, e la speranza de’ premj eterni lo tennero contento e lieto vivendo; e la fama che gli mantiene gloriosamente vivo dopo tre secoli il nome, gli compensa quell’avanzo d’anni senili, che la tirannia gli rapì.

Credo che pochi oggidì leggano l’Utopia; e vorrei che la leggessero molti. Vorrei che si considerasse come siano antichi certi concetti, che oggi alcuni esaltano, ed altri disprezzano, come nuovi. Vorrei che fosse notato con quanta amabile disinvoltura una mente profonda sappia trattare le materie più gravi; e con