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226 dell'asino d'oro

toli addosso, che pareva proprio un galletto su una bica di grano, colle pugna, co’ calci, co’ morsi, e colle pietre che eran quivi dattorno, gli pestò le spalle e tutto ciò che egli era. Nè quel fastellaccio, poscia ch’e’ fu in terra, si potè mai o rizzare, o rivolgere, o coprirsi il viso, o far difesa veruna; ma quello che sol poteva, egli attendeva a minacciarlo, che come e’ si levava in piedi, lo voleva tagliar a pezzi con una sua coltella che egli avea accanto. Per le quali parole avvertito l’ortolano, gliela levò da lato, e scagliatola discosto da sè quanto più potè, di nuovo ritornò con più furia che mai a percuoterlo e lacerarlo. Nè vedendo il valente soldato altro rimedio alla salute sua, e’ fece vista d’esser morto: la qual cosa credendosi l’ortolano, se gli levò daddosso; e presa la sua spada, e cintosela a’ fianchi, se ne risalse sopra di me, e con quella furia che e’ potè la maggiore, senza curarsi pure di veder l’orto, se ne corse verso la città. E andatosene a casa d’un amico suo, e raccontoli il fatto, il pregò che egli lo nascondesse in casa sua insieme con quel suo asino, insino a tanto ch’e’ fuggisse quella prima furia di due