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l’edera 127

lungo le spalle, bagnarle la schiena e tutta la persona, giù, giù, fino ai piedi.

E non poteva gridare, non poteva piangere: un nodo isterico le stringeva la gola. Fuori cresceva la furia del temporale, la pioggia batteva contro la porta, i tuoni rombavano con ira nemica. Ed ella, con la testa contro la porta, pensava a Paulu smarrito nella tristezza della sera tempestosa, percosso dall’ira cieca dell’uragano, e le pareva che anche la natura, oramai, si unisse alla sorte, agli uomini, per incrudelire contro il disgraziato. Fuori, dentro, nella casa, intorno alla casa, per la vastità dei campi e dello spazio, un esercito di forze nemiche si divertiva crudelmente a perseguitare un essere solo, un uomo debole e infelice. Nessuno lo ajutava, nessuno lo difendeva: neppure sua madre, che non si affannava per lui, che sorrideva perchè i poveri sedevano alla sua mensa mentre il figliol suo, più povero e misero dell’ultimo dei mendicanti, errava di paese in paese, in cerca di fortuna e d’ajuto!..

— Nessuno, nessuno! — gemeva Annesa, sfregando la fronte contro la porta, come la pecora verminosa contro il tronco della quercia. — Nessuno, nessuno! Soltanto la serva pensa a te, Paulu Decherchi, disgraziato fanciullo. Ma che può una serva contro la padrona di tutte le creature umane, contro la sorte?

— Annesa, demonia? — gridò zio Zua, che da un quarto d’ora chiamava invano. — Annesa maledetta, accendi il lume.