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150 l’edera


— Lasciami andare, Paulu. Ho paura. Se ci trovano nel cortile poco male: fingiamo di prendere legna per accendere il fuoco e asciugare il tuo cappotto. Ma qui... è tardi...

Egli la lasciò andare: ella corse, leggera e silenziosa, rientrò, chiuse. Paulu avera lasciato il lume nell’andito: ella lo prese, entrò nella camera, in punta di piedi, e s’avvicinò al lettuccio, attratta da una misteriosa suggestione.

Il vecchio era sempre là, immobile e livido sotto la coperta. E rideva ancora, col suo riso spaventoso, con la testa abbandonata sul cuscino, e i quattro denti neri nel lividore della bocca aperta... Ella lo guardava e non le pareva possibile che egli fosse morto: e avrebbe voluto scuoterlo, chiamarlo, ma aveva paura. Sempre in punta di piedi uscì in cucina, riaprì le porte, si ritrovò con Paulu, che le domandò sottovoce:

— Non s’è svegliato?

— No, no, — ella rispose, — dorme: non s’è neppure svegliato quando hai suonato. Ha avuto un accesso d’asma, poi s’è addormentato... pare morto... Ho paura...

— Lo fosse almeno! — egli disse con indifferenza. — Del resto non abbiamo più bisogno di lui... Cioè, se morisse mi farebbe piacere, così non starei in debito verso una donna come la vedova del brigadiere... Del resto...

Ella avrebbe voluto insistere, pregarlo di andare in cerca del medico; ma aveva paura si scoprisse la terribile verità: anche Paulu cambiò