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180 l’edera


— Figlia mia, dammi ascolto; va piuttosto a coricarti.

— Bisogna andare... — ella disse con voce velata.

— Bisogna andare a letto, figlia! Non ti accorgi che hai la febbre?

— Ebbene, vado a prendere Rosa, e mi faccio dare un po’ d’acqua da zia Anna: mi lasci andare...

Prese una piccola brocca e uscì: la sera cadeva, limpida e dolce; sul cielo ancora d’un colore rosa azzurrognolo, al di là delle casupole nere del villaggio, scintillavano le stelle dell’Orsa; i contadini tornavano, sui loro piccoli cavalli stanchi, e attraverso le porticine spalancate si scorgevano le donne intente ad accendere il fuoco ed a preparare il misero pasto pei loro uomini.

Giunta presso la casetta della cugina di donna Rachele, Annesa, che cominciava ad inquietarsi per la prolungata assenza di Paulu, si fermò e stette un momento a guardare se qualche pastore scendeva dal sentiero della montagna. Ma non vide nessuno, ed entrò nel cortiletto aperto, poi nella casetta della zia Anna. Era una casetta di gente povera; nella cucina, al di sopra della porta, stendevasi una specie di soppalco, sul quale s’ammucchiavano le provviste della legna, della paglia e dell’orzo.

— Annesa, sei tu? Rosa è andata alla fontana assieme con Ballora, e con le bambine, — disse la zia Anna, sporgendosi appunto dal soppalco, dove era salita per prendere un po’ di legna. — Aspetta un momento.