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dominò ancora. Ricominciò a pregare, ma con tristezza infinita. Il Dio al quale ella era ritornata nell’ora della disperazione, come il bambino ritorna in grembo alla madre che lo ha castigato, era un Dio severo, inesorabile. Egli poteva perdonare, ma non dimenticare: e domandava penitenza, penitenza.

— No, io non potrò salvarmi dalla condanna, — ella pensava, piangendo silenziosamente, con la fronte sulla parete. — Non è possibile. Si salveranno loro, e questo mi basterà: e la buona notizia sarà quella del loro scarceramento; null’altro.

E le pareva di veder Paulu nella stanzetta del piccolo carcere di Barunei: lo vedeva piegato su sè stesso, livido d’umiliazione e di rabbia, pentito d’essersi dato inutilmente in mano alla giustizia umana stupida e cieca. Egli aveva sperato d’esser rimesso in libertà dopo qualche ora, assieme coi suoi: egli s’era costituito per dimostrare la sua innocenza, e non era stato creduto; e le ore passavano invano, e passavano i giorni, e forse egli non sperava più...

— Ed io sono ancora qui, sono ancora libera! Paulu mio, Paulu, Paulu mio! Che dirai di me quando saprai? E donna Rachele, cosa dirà? Ella piangerà, e i nonni diranno: «Ella non aveva timor di Dio, e ci ha condotto sull’orlo dell’abisso. Per colpa sua abbiamo sofferto il più grande dolore, la più grande umiliazione della nostra vita». Poi si conforteranno, e dimenticheranno. E la vita passerà: io vivrò lontano, lontano, in una galera sco-