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l’edera 235

vasi come un velluto azzurrognolo vecchio e sciupato: un alito fresco, odoroso di basilico, veniva dal fondo della strada; tuttavia prete Virdis smaniava, come oppresso dal caldo, e in mancanza del fazzoletto agitava la mano, scacciando un nugolo di mosche immaginarie.

Che fare? Che fare? Da due giorni Annesa era nascosta in casa sua. Due sere prima, mentre egli ritornava da casa Decherchi, ella, che lo aveva aspettato nascosta dietro un muricciuolo del piazzaìe, gli era comparsa davanti all’improvviso.

— Prete Virdis...

Anghelos santos! Sei tu? Sei tu?

— Sono io. Eccomi. Ho bisogno di parlarle.

— Vieni.

La casetta era silenziosa. Paula Virdis, la cugina del prete, dormiva a quell’ora, in una stanza terrena attigua alla cucina. Al buio, tastoni, Annesa seguì il vecchio, del quale sentiva il respiro un po’ affannoso: attraversarono un andito, salirono su per una scaletta ripida, entrarono nella stanza dal balcone di legno: la finestra era aperta; fino alla camera giungeva il canto di un grillo, un odor di basilico, lo splendore lontano d’una stella.

Prete Virdis accese il lume. Annesa conosceva già quella stanzetta povera, arredata come la camera d’un contadino. Stanca, sfinita, ma con gli occhi illuminati da una fiamma interna, ella cadde a sedere pesantemente sulla vecchia cassapanca che pareva rosicchiata dai topi. E curvò la testa, quasi vinta dalla stanchezza e dal sonno. Prete