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252 l’edera


Dietro l’uscio Annesa, meravigliata e commossa, mormorava fra sè:

— Meglio! Meglio! Meglio così!

— Io la cerco? — riprese Gantine. — Non è vero; non m’importa più nulla di lei; solo, vorrei vederla per dirle che non sono uno stupido, per dirle che io non voglio essere un uomo ridicolo, per dirle che ho pietà di lei. Povera disgraziata! Ella non ha mai veduto il chiodo che doveva forarle gli occhi; la stupida è sempre stata lei, non io! Io sono un uomo: soffro e soffrirò, ma forse vincerò la prova, e mi dimenticherò di lei, e troverò un’altra donna che mi vorrà bene. Ma lei, lei che farà? Anche se sposa il padrone, che farà? Sarà sempre la serva: Paulu la bastonerà fin dal primo giorno della loro unione; farà ricadere sopra di lei tutti i guaj che l’hanno perseguitato. Annesa è stata sempre tormentata e sfruttata da loro, e continuerà ad essere il loro zimbello, la loro vittima. Ed io riderò: vedrete che riderò, zia Paula!

Intanto, però, non rideva: la sua voce lamentosa e dispettosa pareva la voce d’un bimbo pronto a piangere.

Zia Paula non sapeva che dirgli, e andava e veniva per la cucina, preparando la tavola per la cena, e cominciando ad inquietarsi anche lei al pensiero che Paulu potesse da un momento all’altro scendere e sentire le cattive parole del servo.

— Del resto, — egli proseguì — vi assicuro che non m’importa proprio niente. Ne trovo io delle donne! E più belle, più oneste, più giovani di lei! Ella ha quasi quarant’anni, io non ne ho neppure