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l’edera 89

e continuava a canticchiare. Sì, era allegro: il ricordo di Annesa, la speranza di trovare il dentro, la bellezza del mattino, lo eccitavano gradevolmente. Al diavolo i tristi ricordi e le tristi figure, e specialmente quella di zio Zua, e quella del messo con le sue cartacce.

E va e va. Egli scese e risalì tutta la valle, attraversò un piccolo altipiano, arrivò in un villaggio, si fermò in una locanda per dar da mangiare al cavallo. Era sua intenzione di ripartire subito; ma una donna lo riconobbe e corse da Pietro Corbu, un ricco proprietario del luogo, per avvertirlo che don Paulu Decherchi era sceso nell’osteria di Zana, la vedova del brigadiere. Don Peu Corbu corse allora dalla vedova Zana, e appena vide Paulu lo caricò d’improperi perchè gli aveva fatto il torto di non recarsi subito a casa sua.

— E che, c’è la peste a casa mia? Da quando in qua Paulu Decherchi va all’osteria, invece d’andare in casa d’amici?

Paulu aveva già domandato denari in prestito a don Peu, che naturalmente glieli aveva negati. Egli domandava denari a tutti i suoi conoscenti, ma non ripeteva la domanda dopo un rifiuto, e serbava rancore quando non otteneva il favore. Tuttavia finse di veder don Peu con piacere, gli fece mille complimenti, ma non volle seguirlo.

— Ho fretta! — disse. — Mi fermo solo un momento. Vado alla festa di Sant’Isidoro.

— La festa è posdomani. Tu resterai qui tutta la giornata di oggi, parola di Peu Corbu!