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254 l'ombra del passato


— Ma che vuoi? — domandò, quasi spaventata.

— Sta zitta, chè là c’è un bambino che dorme! - egli disse, accennando all’attigua camera. Chiuse l’uscio a chiave e s’avanzò in punta di piedi. Nella penombra dorata il vasto letto verdeggiava come un prato, e Caterina sembrava più bianca e bionda del solito. IL collo e le braccia dal gomito in su parevano di marmo venato d’azzurro: sulla nuca i capelli sfumavano in una lieve peluria dorata. Adone si turbò maggiormente. Gli parve di trovarsi per la prima volta davanti a una visione voluttuosa. Quella donna seminuda, madreperlacea, sull’orlo di quel gran letto verdognolo, non era Caterina; era la ninfa sull’orlo del prato, lungamente sognata dagli adolescenti. Egli si avanzò, ma non l’abbracciò.

— Hai sentito? — disse sottovoce, guardandola con occhi smarriti. — Il maestro si ritira davvero!

— Sì, ho sentito! Vattene, però! Se ci trovano qui, Adone!

— Vieni nella mia camera, allora, — egli disse, sempre più turbato. — Vedrai che lusso! Ho messo tante trappole, ma i sorci prendono la roba che c’è dentro e scappano! Andiamo...

Egli diceva sul serio, senza saper bene quello che voleva. Le mise un braccio attorno alla vita e cercò di trascinarla con sè. Fremeva tutto, di gioja, di attesa, di desiderio, incosciente come quando da bambino su quel gran letto molle aspettava che lo zio ordinasse il sugo d’uva dolce.

Caterina resisteva.