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l’ombra del passato 39

una lunga cassa massiccia si perdevano nella vastità di quel camerone, che nonostante tutti quei mobili sembrava vuoto.

Adone e lo zio dormivano assieme in quel gran letto molle, dai materassi e i cuscini di piume. Lo zio russava e parlava in sogno; ma Adone dormiva così bene che non si accorgeva di niente.

Nelle notti d’inverno egli si avvicinava al gigante, e gli pareva d’essere accanto al fuoco, tanto calore il grosso corpo emanava. Di solito, appena svegliati, zio e nipote prendevano il caffè, servito loro da Tognina, che dormiva in un’altra camera e si alzava prima dell’alba. Dopo il caffè, qualche volta, mangiavano un po’ di suc, sugo d’uva congelato. Adone aveva fretta: avrebbe voluto bere il caffè e mangiare il suc nello stesso tempo. Ma lo zio diceva!

— Santa pazienza! Aspetta che vada giù il caffè: ora è qui, nel barbussin, ora è qui nella gola, ora qui nello stomaco.

E col suo ditone peloso gli toccava il mento, la gola, il petto, gli faceva il solletico, lo costringeva a ridere pazzamente.

Sì, l’omone voleva bene all’omino goloso e ridente. Lo conduceva spesso con sè, attraverso i campi, lo copriva fin su gli occhi col suo mantello, e gli domandava:

— Dove siamo, ora?

Se Adone indovinava il punto preciso dove si trovavano, lo zio gli dava una palanchina da due centesimi. Un giorno andarono n Viadana. Era